“Quando avevo diciassette anni lessi una citazione che suonava così: Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente prima o poi avrai ragione. Mi colpì molto, e, da allora, per gli ultimi trentatré anni, mi sono guardato ogni mattino allo specchio chiedendomi: Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi? E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato. Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della mia vita”.
Ecco come ci si sente nei panni di uno dei più grandi imprenditori del nostro secolo, l’uomo che – lo si può affermare senza paura di essere smentiti – ha letteralmente “inventato” la tecnologia, rivoluzionando in una manciata di anni il mondo e il modo di vivere dei milioni di persone che oggi utilizzano un oggetto entrato a far parte, in maniera irrinunciabile, della routine quotidiana: il computer modernamente inteso.
Tutti ci siamo chiesti almeno una volta come sarebbe la nostra vita senza computer: le miriadi di possibilità creative, comunicative e relazionali offerte dalla rete sarebbero nulle senza il supporto tecnico dei processori. Il computer ha sostituito, nella vita dell’uomo contemporaneo, qualunque altro strumento fisico di espressione, diventando fulcro centrale attorno a cui ruota gran parte dell’attività umana. Una vera e propria rivoluzione copernicana ha imposto il computer come tramite elettivo della vita, tanto che una vita senza computer sarebbe oggi inconcepibile per molti.
Il Copernico dei tempi moderni si chiama Steve Jobs: una vita fortunata, la sua, che l’ha condotto in pochi anni a mettere su un impero di proporzioni inestimabili. Fondatore di Apple, inventore del Macintosh e creatore di tutti i successivi prodotti gioiello siglati dalla inconfondibile mela di Cupertino, Steve Jobs ha raggiunto a trent’anni l’apice del successo. Prima di essere licenziato dall’azienda che egli stesso aveva fondato. Ma ciò che è interessante nella vita di un uomo non sono i successi visibili che ottiene, quanto piuttosto il modo in cui affronta sia i trionfi che i fallimenti. E da Steve Jobs si può imparare davvero tanto.
Figlio “mezzosangue” di ragazza-madre americana e padre siriano, Steve viene dato in adozione a una coppia di coniugi americani di Mountain View, California, con la promessa solenne, fatta alla madre naturale, di provvedere alla sua istruzione universitaria. Ma la famiglia Jobs non naviga nell’oro, e, iscrittosi al Reed College di Portland, Steve abbandona gli studi dopo appena un semestre, incapace di vederne l’utilità, ma solo un immane sacrificio economico per i genitori adottivi. Questa scelta gli darà la possibilità di frequentare, in maniera informale e per altri diciotto mesi, i corsi che più gli interessano, vivendo accampato nelle stanze dei suoi colleghi universitari e guadagnando qualche spicciolo coi vuoti a rendere. A dieci anni di distanza, le esperienze accumulate durante quello che fu uno dei periodi più prolifici della sua vita, torneranno utili in maniere insospettabili, chiudendo finalmente il cerchio. Perché, come lo stesso Jobs ha affermato, uno degli obiettivi più importanti nella vita di un essere umano è “unire i puntini”: seguire “il cuore e l’istinto” con fiducia nel futuro e un pizzico di follia porta sempre a tagliare traguardi che, grandi o piccoli che siano per l’umanità, sono comunque grandiose vittorie per colui che ha scelto di abbandonarsi al suo destino.
Alla luce di questa consapevolezza va letta tutta la vita di Steve Jobs: ogni evento, lieto o triste, piacevole o spiacevole, importante o di poco conto, viene vissuto come un’opportunità inestimabile di crescita. Dal licenziamento dalla Apple, senza cui non ci sarebbe stata l’esperienza alla Pixar – produttrice di cult dell’animazione come Toy Story e Life Bugs – al successivo, trionfale rientro alla Apple stessa, che in un momento di crisi ricontattò Jobs per trasferire le tecnologie apprese alla Pixar al nuovo sistema operativo MAC OS X; tecnologie che condurranno poi al lancio dell’I-pod (2001), e dell’I-Phone (2007), fino alla recente uscita (2010) dell’I-pad, tablet di ultimissima generazione che segna una nuova, epocale svolta nel mondo dell’informazione e della sua accessibilità. Dalla scoperta di avere un tumore al pancreas (2004), che sembrava darlo per spacciato, alla difficile, travagliata strada verso una guarigione che, tuttavia, non sarà mai completa, fino alla sofferta scelta di abbandonare casa Apple lasciando a Tim Cook, già suo sostituto, la carica di amministratore delegato.
Tutto nella vita di Steve Jobs può essere interpretato alla luce di una costante spinta a migliorarsi e a realizzare sempre più le proprie potenzialità, scoprendo ogni giorno meglio ciò che si vuole fare della propria vita, e per cosa vale davvero la pena di vivere.
Si dice che un uomo diventa davvero leggenda solo dopo la morte. Ma per Steve Jobs quest’affermazione non vale: il creatore di Apple è davvero il prototipo dell’eroe moderno; non l’antieroe, uomo della nostra epoca, che sopravvive in un vuoto di significazione e di valori, ma un uomo come tanti, che con umiltà e coraggio porta avanti se stesso e le proprie scelte, consapevole dei propri limiti ma sempre deciso a valicarli.
Un uomo così non poteva che illuminare il mondo con la sua genialità. “Siate affamati, siate folli”. Questo il suo motto. Steve Jobs lo è stato, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non ci resta che provare, ognuno nel nostro piccolo, a seguire il suo esempio.
Giuliana Gugliotti
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