Ci sono testi che si prestano a diverse interpretazioni. Accompagnati da musica o meno, ci sono parole che viaggiano, perdendosi o arricchendosi a seconda di chi li ascolta e interiorizza. Ma una canzone come “Wish you were here” dei Pink Floyd no, non può essere ridotta a semplice love song. Tutt’oggi l’assenza sofferta di quel testo viene travisata e banalizzata; un’assenza che in questo caso vuol dire “non ritorno”, un’assenza che significa addio.
E il saluto definitivo va da una delle più grandi rock band britanniche di sempre al genio che un tempo li aveva battezzati: Syd Barrett. Parlare di un uomo come Syd è complicato, perché complicata è stata la sua vita e –sicuramente- la sua essenza. Nato a Cambridge il 6 gennaio 1946, Roger Keith Barrett era quarto di cinque figli. Il padre, Max, era un anatomista con velleità artistiche; in particolar modo si interessava di pittura e musica. Il piccolo Roger si avvicinò prima alle arti visive, incanalando il suo estro nei primi esperimenti pittorici e letterari e solo verso i 14 anni cominciò a interessarsi di musica. Ukulele, banjo e finalmente una chitarra folk. Fu la conoscenza del batterista Sid Barrett, che gli fece guadagnare il soprannome di Syd per differenziarlo da quest’ultimo. All’epoca Syd era giovane, bellissimo e dotato di un’intelligenza brillante. Dopo diversi esperimenti musicali, nel 1965 Syd diede vita insieme a Waters e Klose ai “Pink Floyd”, dal nome dei suoi bluesman preferiti:Pink Anderson e Floyd Council (nella scelta del nome, quindi, l’LSD non c’entra niente). Syd amava il blues e regalò al gruppo quella scintilla psichedelica che ne avrebbe fatto una band all’avanguardia, capace di sperimentazioni colte, capaci di travolgere il mercato. Nel 1967 esce “The Piper at the Gates of Dawn”, l’unico LP realizzato sotto la direzione di Barrett. L’album contiene testi stravaganti, che spaziano attraverso vari temi, sempre accompagnati da passaggi strumentali psichedelici. Alla vigilia di un’apparizione televisiva, nello stesso anno, Syd sparisce. Quando il resto della band lo trova, non è più lo stesso. Negli occhi del chitarrista si legge un’assenza dovuta all’uso eccessivo di acidi, Lsd e droghe che gli avevano reso impossibile comunicare con l’esterno. Dopo comportamenti bizzarri e assurdi, comparse sul palco con la chitarra scordata o fisso su una nota, la band decide di affiancarlo momentaneamente a David Gilmour. Isolato gradualmente dal gruppo, Syd fa la sua comparsa solo nel 1975 ad Abbey Road, paradossalmente proprio mentre si registrava “Wish you were here”. La sua presenza destabilizza Roger Waters, tanto era diventato irriconoscibile Barrett. Syd tenta anche la carriera solista, ma neanche in questo caso si dimostra capace di gestire se stesso e dopo alcune incisioni, sparisce. Gli ultimi anni della sua vita li ha trascorsi nella vecchia casa di Cambridge, dedicandosi alla pittura astratta e al giardinaggio. Un tumore al pancreas lo uccide il 7 luglio 2006 all’età di 60 anni.
Gli scritti e gli aneddoti su Syd Barrett sono numerosissimi: genio sregolato, folle e aggressivo con gli altri e con la sua donna, incapace di gestire il successo, insensibile o troppo sensibile. Al di là delle parole, restano la sua musica e i suoi testi che racchiudono gioie, paure e frustrazioni di uno degli uomini più discussi della storia della musica. Canzoni su canzoni da ascoltare se si vuole conoscere davvero il “crazy diamond” che ha cambiato per sempre la storia del rock.
Emiliana Cristiano
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