Tra forconi e taniche (di benzina), l’Italia si spacca

Alcuni autotrasportatori in protesta bloccano lo svincolo di Mercato S. Severino, Salerno

Napoli, 23 Gennaio 2012, ore 18.00 – Fila interminabile al distributore di benzina di fronte casa mia. Q8. Le macchine che cercano di immettersi nella coda sono talmente tante da occupare quasi tutta la carreggiata. Clacson a strombazzare e un traffico della malora. Ore 12.00 – telefona un amico, chiede a me e una mia collega se prendiamo un caffè con lui. Oggi non ha potuto andare a lavoro. La Napoli-Caserta è bloccata, invasa dall’ennesima fila, questa volta diversa: sono gli autotrasportatori in sciopero, che, subissati dalle accise sulla benzina e dalle tasse governative, di comune accordo hanno deciso di scioperare. E non solo. Di bloccare la viabilità interurbana occupando le carreggiate di una delle arterie autostradali maggiormente percorsa dai pendolari del Sud.

Oggi, 24 Gennaio 2012, ore 9.00 – Pochi metri più avanti, distributore della IP: ressa di motorini e gente appiedata taniche alla mano, che aspettano pazientemente il loro turno sotto un cielo freddo e tra i fumi dei carburanti. Il benzinaio lo conosco, ci andavo sempre anche io. Non ha mai avuto tanti clienti. Arrivo al lavoro leggermente perplessa, chiedo delucidazioni in giro. Ieri un mio amico è rimasto bloccato due ore, in coda, sulla A1. Le macchine le facevano tornare indietro, contromano, sull’autostrada. Una mia amica ieri è stata a fare la spesa. I banchi della Coop erano semivuoti. Niente frutta e verdura. E intanto la gente inizia a prendere d’assalto anche i supermercati.

La mente va alla rivolta del pane. Quella più recente, la cosiddetta primavera araba, che iniziava giusto un anno fa. Ma anche quella di manzoniana memoria, in cui il Manzoni ci racconta di come i poveracci milanesi presero d’assalto il garzone del fornaio che passava per le strade con la cesta del pane in bella mostra. Un paragone già fatto; nell’aria echeggia qualcosa di già visto, di già sentito. La Tunisia non sembra più così lontana.

Tutto è cominciato qualche settimana fa in Sicilia: il Movimento dei Forconi, associazione apolitica e apartitica di agricoltori, allevatori e autotrasportatori, organizza una serie di blocchi stradali per protestare (fino ad arrivare a chiedere una moneta autonoma!) contro il governo Monti e i rincari previsti dalla nuova manovra economica. Per fronteggiare la crisi, dicono. I media mantengono il silenzio, preferiscono concentrare la loro attenzione sulla tragedia del Concordia. Tutti giù a puntare il dito contro Schettino, mentre la Sicilia si ribella. Imbraccia il forcone, simbolo del lavoro agricolo ma anche della rivolta contadina contro un potere precostituito e abusante, e insorge contro il Governo. Come sempre accade in Italia, nessuno ne parla, se non per ipotizzare una segreta regia mafiosa dietro le agitazioni. Dimenticando che le mafie sono figlie del brigantaggio, e il brigantaggio è figlio di un’Unità italiana decisa a tavolino. I media non ne parlano, almeno fino a che non ci scappa il morto. Oggi ad Asti un autotrasportatore in sciopero è stato travolto da una collega tedesca che tentava di “sfondare” le barricate. Come a dire: solo il sangue fa notizia.

Sempre oggi, 24 Gennaio 2012, ore 16.00 – Chiuso anche il distributore della IP, quello preso d’assalto in mattinata. La benzina deve essere finita anche là. Torno a casa, chiacchiero a telefono con un’amica. Ieri ha dimenticato di fare benzina, e oggi è andata a piedi dal medico. E domani probabilmente i pullman non circoleranno: la benzina è finita, ci toccherà andare a lavoro facendo a piedi un pezzo di strada. Per venerdì invece è previsto uno sciopero dei ferrovieri dell’Orsa; i tassisti di Roma sono già in agitazione, mentre i farmacisti si stanno organizzando.

Le liberalizzazioni previste dal governo Monti – e inserite in un più ampio programma che prevede, tra l’altro, l’abolizione degli ordini professionali, la sostituzione dei contratti a tempo determinato con un contratto unico, a tempo indeterminato, che prevede però la conseguente abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che impedisce il licenziamento senza giusta causa – stanno decisamente minando alla base l’esistenza delle “caste”. Dai giornalisti ai notai. Quanto sia utile per risollevare l’economia dalla crisi non si sa. Intanto, le caste protestano: nessuno vuol perdere i propri privilegi. E protestando, l’economia la bloccano, altro che risollevarla. L’idea del governo è quella di trasformare l’attuale precarietà in flessibilità del lavoro: la manovra dovrebbe incentivare le aziende ad assumere giovani, liberalizzare le professioni e fondare il successo individuale su presupposti più meritocratici. Il principio ci sta tutto. Anche se manda a puttane la tutela degli ordini professionali, gli accordi sulle tariffe – che potrebbero diminuire, certo, ma anche lievitare – insomma, la tutela stessa del consumatore. È davvero questa la mossa giusta per risollevare l’economia di un Paese in crisi? Un paese come l’Italia, dove i furbi e gli approfittatori germogliano come funghi anche quando non piove?

Me lo chiedo, e non so rispondermi. Non ne capisco niente di economia, io. Però, l’idea delle autostrade bloccate, dei banchi dei supermercati vuoti, come i serbatoi di benzina, tutto talmente vicino da poterlo toccare con mano e vedere coi miei occhi, mi spaventa. L’86% della spesa degli italiani, come ha informato Coldiretti, dipende dai trasporti su strada. Questo significa che se gli autotrasportatori scioperano, i supermercati si svuotano. Latte, frutta e verdura marciscono. I prezzi aumentano, le perdite economiche anche. La gente inizia a patire la fame. E la fame, come la storia ci ha insegnato, porta sempre alla rivoluzione. Non ci saranno pane né tantomeno brioches. La Francia di Luigi XVI e Maria Antonietta non mi è mai sembrata tanto vicina.

Giuliana Gugliotti

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