«Ogni ragazza deve essere orgogliosa del proprio seno perchè è una cosa naturale. È un regalo di Dio. Lasciate che il seno cresca in modo naturale. Non costringetelo a scomparire o ad apparire».
Queste le parole che hanno aperto la campagna di sensibilizzazione tedesca contro l’ennesima brutalità sul corpo della donna. Non c’è mai limite al peggio. È l’unico modo che abbiamo per definire un’altra deturpazione del corpo femminile. Tradizioni che hanno un retrogusto maschilista e macabro. Il mondo non le conosce tutte. Forse perché troppo lontane da noi. Forse per paura di sapere. L’infibulazione ha avuto maggior rilevanza per le continue denunce atte a impedirne la pratica. Oggi si è fatto strada il Breast ironing. Si tratta di un “oggi” che ha radici molto antiche divenute attuali a causa della poca conoscenza che se ne aveva.
Si tratta della “stiratura del seno”. Diffusione a tappeto in tutta l’Africa centroccidentale, sembra non voler arrestare la sua pratica. Come per l’infibulazione, il breast ironing è un’usanza mossa da buone motivazioni per chi l’ha istituita. Impedire stupri e matrimoni forzati possono anche essere visti come ottimi motivi, se non ci fosse tanta brutalità di fondo. Rendere la donna meno desiderabile impedendone la maturazione sessuale significa forzare la natura a non seguire il percorso naturale. È violenza, è orrore, è sofferenza gratuita.
Le modalità sono agghiaccianti. Se per la chiusura del clitoride e delle piccole labbra vengono utilizzate spine di acacia o palma, per questa deturpazione le pietre roventi trovano impiego sul petto della donna. Donna poi. È il corpo di una bambina quello di cui stiamo parlando. Il momento giusto per praticare il breast ironing è l’età di otto anni. Pietre riscaldate sul fuoco vivo, oggetti spigolosi e duri, sempre roventi, stretti intorno al seno “in erba” tramite una fascia. Barbarie senza fine. Dolori, ustioni, infezioni, tumori sono solo alcune delle conseguenze. Unico obiettivo da raggiungere è l’eliminazione di almeno una delle due mammelle.
Nascere femmina nel Benin, Guinea Bissau e nel resto dell’Africa centroccidentale è una condanna a sofferenze e deturpazioni. Si inizia intorno ai tre anni con l’infibulazione per raggiungere gli otto con la mutilazione del seno. È così radicata l’idea della “giusta causa” – di qualsiasi matrice essa sia – che, ancora una volta, sono le stesse mamme a far sottoporre le proprie figlie a questo calvario doloroso e senza dignità.
La Gtz – organizzazione non governativa tedesca – ha condotto uno studio in Camerun per stimare la diffusione di questa usanza. Risultano più quattro milioni le donne deturpate, con maggiore concentrazione nelle grandi città. La periferia di quest’ultime – devastata da violenza e povertà – a quanto risulta, sembra poter contare su una percentuale più alta proprio per la pericolosità del posto. Le province poste più a settentrione, di matrice musulmana, contano un’incidenza decisamente più bassa. Solo il dieci percento delle donne ha subito il breast ironing.
Roberta Santoro
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